Quando ero una ragazzina la mia famiglia era solita frequentare quella di Cristina: eravamo vicine di casa in un piccolo paese alle porte di Milano, andavamo a scuola di danza classica assieme e frequentavamo lo stesso liceo linguistico.Passavo parecchio tempo a casa sua, pomeriggi, interi week end. A parte le prove di ballo davanti alla parete di specchi, quel che più vividamente ricordo delle ore trascorse in sua compagnia, è la voce della sua mamma che si rivolgeva a noi in inglese con i suoi toni così severamente british. Inglese d’origine, a casa sua parlava solo la lingua madre e pretendeva che lo stesso facessero anche le figlie e gli ospiti delle figlie. Confesso che allora mi incuteva un po’ di timore.
Ogni tanto provo a fare lo stesso con Bartolomeo: provo a parlargli in inglese. Ebbene, lui mi ascolta per un po’, poi si ferma, mi guarda corrucciato e pensieroso come se davanti a sé ci fosse una mamma diversa da me, una sorta di aliena che ha preso il mio posto e mi chiede di smettere in modo molto deciso. Credo che i collegamenti che il suo cervello fa non prevedano che io gli parli in inglese. MAMMA=ITALIANO. TEACHER LUCIA=INGLESE. Qualcuno mi dice che dovrei provare a insistere ma questa cosa non è naturale per lui quanto per me. Che fare? Sono graditi suggerimenti e consigli. Grazie! 🙂
Grazie Lorenza, mi hai fatto riflettere sul fatto che a volte dimentico il fattore gioco e mi rivolgo a lui in modo troppo didattico, quasi in un rapporto alunno-insegnante/banco-cattedra: non so se ho reso l’idea… e non va bene, evidentemente! grazie ancora! 😉
Personalmente, ho optato per una via di mezzo: ogni tanto, a sorpresa, a caso, inizio a parlare in inglese. Ho notato che la reazione è molto diversa, a seconda del livello di stanchezza dei nani: se sono molto stanchi, il rifiuto è totale. Se invece sono più rilassati, riescono a prenderla come un gioco. L’importante, comunque, davvero, è che sia sempre un gioco, per loro!!